venerdì 29 giugno 2012

Non lavoro gratis

Condivido un articolo di Tony Sleep, fotografo inglese, che parla delle storture e furbizie di quanti ogni giorno provano a trarre profitto dal lavoro altrui, promettendo in cambio tanta riconoscenza, pubblicità, felicità, libertà, amenità e... niente soldi.
Il post tratta di fotografia, ma è analogicamente applicabile alla musica e ad una miriade di realtà lavorative artistiche, dove non è raro sentirsi fare certi discorsi.


Ogni settimana, ricevo in media un paio di proposte di lavoro da parte di gente che “non ha soldi” per pagare le mie foto. Case editrici, riviste, giornali, organizzazioni, aziende affermate o appena avviate: tutti pensano che la fotografia non costi niente, o peggio che mi stiano facendo un favore ad offrirmi di pubblicare il mio lavoro offrendo come compenso di aggiungere il mio nome qui o là.

Ho smesso di rispondere a queste richieste personalmente e linko semplicemente al seguente testo.
Allora, mettiamo le cose in chiaro. “Non abbiamo un budget per le fotografie” significa in realtà: “Pensiamo che i fotografi siano dei coglioni”.

Questa interpretazione potrà forse sembrarvi offensiva, ma possiamo facilmente verificarla con un esperimento: provate ad entrare in un ristorante della vostra città dicendo garbatamente “vorrei mangiare qui, ma non ho previsto un budget per pagarvi”. Aggiungere che in cambio farete pubblicità presso tutti i vostri amici non impedirà al proprietario di sbattervi cortesemente fuori a calci.

Ora, immaginate di essere voi stessi i proprietari di un ristorante dove la maggior parte degli avventori provano a cenare gratis con questa tecnica. La risposta è NO, volendo essere esageratamente gentili.

E se in realtà “non abbiamo un budget” era solo una strategia per tastare il terreno, la risposta è sempre e comunque NO. Non voglio avere niente a che fare con degli avidi opportunisti che vorrebbero imbastire una relazione professionale mentendo sin dall’inizio. Avete già dimostrato di non meritare fiducia, dunque mi date anche ragione di pensare che non sarete onesti sullo sfruttamento delle immagini e che comunque farete di tutto per non pagare un euro.

Se invece siete di quelli che promettono un sacco di lavoro meglio pagato più avanti se io accetto di aiutarvi a costo zero adesso, ottimo, ci sto, offritemi un contratto. Altrimenti per quanto mi riguarda le vostre sono tutte stronzate e la risposta è NO.

Anche perché, vedete, non me ne frega niente di “farmi conoscere” regalandovi il mio lavoro. Quello che voglio è invece un rapporto professionale di mutua collaborazione e beneficio. Da parte mia cerco di offrire la massima onestà ed integrità professionale e mi aspetto che i miei clienti facciano lo stesso con me. “Farsi conoscere” è la naturale conseguenza di un lavoro ben fatto, non un mezzo per ottenere qualcosa e lo stesso vale per il mio nome pubblicato insieme al mio lavoro: è una prassi, nonché indice di correttezza. Al contrario, di guadagnarmi applausi lavorando come un dilettante non me ne frega niente. Se avere un prodotto gratis è più importante di avere un prodotto di qualità, chiedete pure a qualcun altro.

Come la maggior parte delle persone, anch’io lavoro per pagarmi le bollette e mandare avanti la mia professione e la mia famiglia. Il fatto che io ami quello che faccio è semplicemente la ragione per cui sono quarant’anni che mi impegno al massimo nonostante le difficoltà: se pensate di avere il diritto di mancare di rispetto alla mia professionalità in virtù di questo, vi sbagliate di grosso.

Perciò non vi sorprendete se scelgo di non aiutare dei parassiti che guadagnano, o pretendono di farlo, sfruttando il lavoro dei fotografi – e anche il mio – fino al midollo. Con alcune rare eccezioni (piccole associazioni veramente no profit, mandate avanti da volontari) sono io che questa volta non ho previsto un budget per rendere le imprese degli altri più redditizie: già far quadrare i miei bilanci non è cosa da poco, vista anche questa recente tendenza a far passare lo “sfruttamento” come “un’incredibile opportunità”.

Il mio sostegno lo garantisco volentieri quando posso, attraverso piccole donazioni ad organizzazioni che ritengo di voler aiutare o semplicemente offrendo un pranzo ad un senzatetto. Vi assicuro inoltre che quando lavoro per onlus e associazioni, lo faccio a tassi agevolati. Penso di essere una persona onesta, generosa e gentile, ma mi sento di non fare l’elemosina a degli accattoni stipendiati che mi chiedono di riempirgli le tasche con soldi a manciate. Mi fanno incazzare. Specialmente quando mi insultano dicendo che si, il mio è proprio un bel lavoro, però non lo pagherebbero un cent.

Ho avuto delle conversazioni esilaranti con un sacco di gente che, a quanto pare, pensa che delle buone immagini siano solo il frutto di circostanze fortunate e che dunque sia loro diritto averle a costo zero, semplicemente perché gli elettroni non hanno ancora un preciso valore di mercato. Come la volta in cui incontrai la manager di un’importante organizzazione inglese (con un utile dichiarato di oltre 3 milioni di sterline). La signora mi spiegava quanto tenesse a pubblicare più foto possibile sul sito internet del gruppo di cui era a capo: i visitatori le trovavano infatti più efficaci ed immediate dei testi (prodotti per altro da uno specifico team di scrittori retribuiti). Dunque l’importanza delle foto era fuori discussione. Ma, forse, sarebbe stato anche il caso di pagarle: magari usando una parte del budget annuo di 160.000 sterline che la suddetta organizzazione destinava ai contenuti web (di nuovo, ho controllato le cifre dichiarate, disponibili online). La signora proprio non riusciva a capire che la foto che aveva davanti e che avrebbe tanto voluto pubblicare esisteva solo perché io avevo investito tempo, denaro e lavoro nel crearla. “Ma tutti i fotografi di solito sono ben felici di lasciarci pubblicare le loro immagini gratuitamente” mi spiegava. Non credo proprio lo siano, probabilmente hanno solo omesso di dare un’occhiata alle solite cifre che dicevo sopra: se lo avessero fatto si sarebbero accorti che lei guadagnava qualcosa come 66.000 sterline l’anno (circa €74.000 al cambio attuale, ndr) – giusto qualche soldo in più della retribuzione zero che invece offriva in cambio delle immagini.

E’ chiaro che soltanto i fotografi amatoriali possono permettersi di fornire servizi senza ricevere un compenso: la fotografia non è per loro una fonte di reddito. Fanno altri lavori, hanno una pensione, guadagnano in altro modo, sono dei romantici con tendenze suicide – non mi interessa. Io no. L’atteggiamento di far guerra ai professionisti per farsi belli è profondamente egoista e ha conseguenze disastrose: distrugge la fotografia come mestiere, come rispettabile fonte di guadagno per la vita.

Ecco, questa è gente vanitosa e piena di sé e davvero si accontenta di lavorare in cambio del proprio nome scritto accanto ad un’immagine: se è tutto ciò che avete da offrire, chiamate pure uno di loro. In alternativa, avete a disposizione una folta schiera di studenti e neolaureati da sfruttare – sono disperati ed inesperti, vi consiglio di cogliere al volo la ghiotta occasione di risparmiare qualche soldo e peggiorare di un altro po’ le loro già precarie condizioni economiche.

Tutto questo significa che forse non riuscirete a procurarvi le immagini che volete a costo zero? Beh, benvenuti nel mondo, è dura. A me non danno certo macchine fotografiche, computer, programmi, benzina, una casa e da mangiare senza spendere un euro. La fotografia è facile ed economica no? Allora prendete una macchina fotografica e scattatevele da soli le vostre stupide foto.

E se dopo aver letto vi sentite offesi, probabilmente è perché almeno una volta, ci avete provato anche voi.

Fonte: http://magazine.total-photoshop.com/tony-sleep-sono-un-fotografo-e-non-lavoro-gratis-critica-spietata-e-vera-per-riflettere-e-far-riflettere/

domenica 17 giugno 2012

Akinator, il Genio del web

Ultimamente sta andando molto di moda un nuovo giochino, disponibile sia per smartphone che in versione web.
Mi sembrava una delle solite minchiate, invece è meno scema di quello che appare. Trattasi di Akinator, Genio capace di indovinare i nostri pensieri. Nello specifico, si pensa ad un personaggio (non importa se reale o di fantasia, vivo o morto, ecc.) e lui, il Genio, attraverso una serie di domande, cercherà di leggerci nella mente e scoprire a chi stavamo pensando. E' sorprendente, mi ha beccato anche un semisconosciuto calciatore di serie B.

Ho coinvolto amici e parenti, anche loro dapprima dubbiosi, poi sempre più ansiosi di battere il Genio. Ha indovinato gente come Graziano Mesina, Winston Smith, Marcello Lippi, Roberto Bolle, Melissa Satta, Marcellino pane e vino, Keith Emerson, Giampiero Boniperti e tanti altri.
Ci sono anche cose che non sa: quando capita, lo avremo battuto e ci chiederà di immettere nel database il nome del nostro personaggio, cosicché dalla volta successiva sarà sempre più difficile trovarlo impreparato.

Si può giocare (gratis) accedendo a questo sito: http://it.akinator.com/

Occhio, provoca dipendenza.

mercoledì 13 giugno 2012

Vasco manda a farsi fottere Maurizio Solieri

Ho letto quest'articolo di Massimo Poggini, che racconta di un botta e risposta pepatissimo tra Vasco Rossi e il suo chitarrista storico Maurizio Solieri. Roba da seguire seduti coi popcorn.

Una volta si diceva: i fatti separati dalle opinioni. E allora eccoli, i fatti: Maurizio Solieri qualche giorno fa, in occasione di una reunion della Steve Rogers Band avvenuta a Trezzo d’Adda, ha dichiarato a un quotidiano: «Con Vasco, con cui lavoro ancora così come il Gallo e Cucchia, non ci sono più rapporti di tipo umano, con l’ ingigantirsi della sua aura di artista la nostra relazione è diventata più professionale, nei periodi in cui si fanno le prove ci si rivede per un mese di fila, ma poi. È un anno che non lo sento». Apriti cielo! Stamattina Vasco ha replicato con un post sulla sua pagina Facebook, che inizia così: «Caro Solieri, ci conosciamo dal 77 quando, vestito con una giacca scozzese da impiegato bancario, e gli occhiali da vista neri, ti incontrai per la prima volta insieme a Sergio Silvestri… carissimo amico che era stato in collegio con me, aveva suonato la chitarra con me, era stato due anni a Londra e  aveva assimilato lo spirito inglese della musica, oltre che imparato l’inglese».

Va avanti per un po’ a ricostruire la storia, quindi, dopo un bel complimento, arrivano diverse stoccate: «Poi ti sentii suonare la chitarra una sera al bar e rimasi stupefatto. Suonavi esattamente come oggi. Ed è questo il punto caro Solieri. Da quando abbiamo cominciato nel 78 non sei cambiato di una virgola. Non sei cresciuto… non ti sei evoluto… non ti sei mai perfezionato e sei rimasto nel tuo mondo di assoli molto spettacolari ma poco precisi… e negli anni novanta sono arrivati quelli che non sbagliavano una nota… quelli come Stef. Dovevi essere tu Stef secondo me. Ma tu non lo ammettevi neanche. Ricordi le litigate per gli assoli da dividere e che la dura e spietata legge del rock non ammette ed è molto chiara. Chi suona meglio sta sul palco chi non tiene il passo e rimane indietro va a casa… e non sono io che lo decido. È la storia!… e benvenuto nello spietato e violento mondo del rock!
 
Poi sei sempre stato un fuoriclasse ma non sei diventato un professionista. Tu suoni solo come vuoi o puoi tu. Infatti non hai mai suonato con nessuno altro. Solo con me. E a un certo punto dopo aver scherzato giocato fatto cazzate di tutti i tipi o diventi un professionista o vai a casa. E io sono diventato un professionista. E ho imparato studiato cercando di migliorare… ti ricordi come cantavo nell’83… con te che suonavi a un volume altissimo, la batteria di Casini nei capelli. Ho dovuto imparare a cantare senza sentirmi. Oggi se mi sento troppo non mi trovo a mio agio.

Dici che ultimamente sembra sia incazzato con il mondo?… forse non sto bene? Ma vai a farti fottere anche te insieme a tutti gli altri.. Io incazzato lo sono stato sempre! Col mondo, con me e anche con te!… E non sono mai stato bene. Io sto male! Mi meraviglio che non tu l’abbia mai capito. Ma tu ascoltavi solo la tua chitarra e anche oggi in ogni intervista dimentichi che hai potuto esprimere il tuo talento solo grazie a me. Altrimenti dimmi con che gruppo avresti suonato? È ora che vi ricordiate ragazzi che io ho cominciato a scrivere le canzoni. Io ho cominciato ad andare davanti alla gente con la mia faccia e il mio nome. Io ho cominciato a cantarle e voi  eravate degli orchestrali e le vostre prime timide musiche che io vi ho consigliato di fare sulle quali io ho scritto le parole le ho fatte diventare vere le ho interpretate e le ho cantate le avete cominciate a scrivere molti anni dopo e comunque ho sempre fatto tutto io. Perché volevo che la musica di Vasco Rossi fosse varia. Eravate tutti sostituibili anche se per me eravate i migliori. L’unico insostituibile ero io. Questa è la realtà caro Solieri. Potevo prendere anche Riky Portera Ti ricordi? Era lui il chitarrista rock per eccellenza a quei tempi. Ti dirò di più da dieci anni, da quando è morto Massimo, io e Guido ogni volta che dobbiamo organizzare un tour e scegliere i musicisti ci dicevamo . ma Solieri. Lo lasciamo a casa? A noi serve un chitarrista ritmico non un altro solista rimasto negli anni ottanta. Poi alla fine per affetto per la storia per i fans decidevamo ogni anno di prenderti.

Questa è la verità caro Solieri. Io ti voglio molto bene. Però te l’ho detto. Se quando fai un’intervista sulla musica di Vasco Rossi sul suo mondo che poi è il tuo, riesci a non nominarmi mai, non cominci col dire che ringrazi il giorno che mi hai incontrato io che sono molto stanco della tua arroganza e della tua io ti restituisco tutto con questo mio documento che firmo e che pubblico.Dici che lavori ancora per me ma i nostri rapporti sono solo professionali? Ma è sempre stato così.  Perché lo dici oggi come fosse strano? Non ci siamo mai frequentati al di fuori del palco. Mai sentiti per mesi forse incontrati in qualche locale ubriachi, ma mai visti per anni… solo durante i concerti, sul palco, diventiamo fratelli compagni complici più che amici un gruppo rock che suona e fa della musica».

Ecco i fatti, ognuno è libero di pensarla come gli pare. Io mi astengo dal commentare, anche perché avendo scritto una biografia di Ligabue ed essendo il coautore di Questa sera rock’n’roll, l’autobiografia di Maurizio Solieri, sono fortemente a rischio di anatemi. Ed essendoci già passato un annetto fa, so che alcuni fan non ci vanno giù leggeri. «Ti auguro di morire di un cancro al cervello», mi scisse uno…

Allora, sempre per la serie i fatti separati dalle opinioni, concludo con un pensierino che apparentemente non c’entra niente. In questi giorni si è molto parlato di un certo Bruce Springsteen. Al suo fianco da sempre c’è un chitarrista bravo ma non straordinario sotto l’aspetto tecnico. Si chiama Little Steven… Ve lo immaginate il “Boss” che gli spara addosso? Sarà un caso se a 62 anni suonati è riuscito a fare 10 ore e mezzo di musica da sballo in tre concerti?